Retention

Non c'è alcun dubbio: portare nuovi talenti in azienda è fondamentale per mantenerla al passo con i tempi e per assicurare idee fresche e nuovi punti di vista.

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Non c’è alcun dubbio: portare nuovi talenti in azienda è fondamentale per mantenerla al passo con i tempi e per assicurare idee fresche e nuovi punti di vista. Oltre a impegnarsi nel processo di selezione dei profili migliori, però, ogni realtà deve prestare la massima attenzione anche alla gestione del proprio personale, cercando di ridurre al minimo il turnover

Questa è una priorità, non solo dal punto di vista prettamente economico: più alto è il grado di employee retention (o HR Retention), più stabile è il business. Ma cos’è esattamente la employee retention e come si può migliorare? Quali sono le strategie di employee retention più efficaci per non far fuggire i talenti dalla propria azienda? 

Scopriamolo con l’aiuto dei dati dell’Employer Brand Research 2021.

cos’è la employee retention: traduzione e significato.

Con il termine employee retention (o HR Retention) si fa riferimento alla capacità di un’organizzazione di trattenere i propri dipendenti all’interno dell’azienda. Nonostante sia spesso rappresentata da un semplice dato statistico (employee retention rate), è in realtà il frutto di una serie di politiche che permettono all’impresa di accrescere il livello di soddisfazione dei propri dipendenti ed ottenere un importante vantaggio competitivo sulla concorrenza.

Un alto turnover del personale può, infatti, influire sulla stabilità dell’azienda ed è solitamente sintomo di una serie di problematiche più profonde. Al contrario, un team di lavoro soddisfatto e motivato è la base sulla quale costruire ogni successo.

il costo del turnover per l’azienda.

Nel corso degli anni diverse ricerche hanno sottolineato il notevole impatto che il turnover del personale ha sulle imprese. Sostituire un dipendente che ha abbandonato l’azienda va ben oltre l’esborso necessario per coprire lo stipendio del nuovo lavoratore.

Al conto vanno infatti aggiunte anche le spese sostenute per l’iter di selezione e valutazione dei profili, il tempo necessario per formare la nuova risorsa e tanti altri costi non immediatamente tangibili, ma che comunque impattano su bilancio e produttività. Non bisognerebbe infatti trascurare in questo esame la perdita di cultura aziendale ed esperienza legate ad un lavoratore che se ne va.

ono ad abbandonare un’azienda?

Sono tante le motivazioni che possono spingere un dipendente a lasciare l’azienda, andando così a popolare le fila dei cosiddetti switchers (coloro che hanno cambiato datore di lavoro) o  degli intenders (coloro che stanno pianificando di farlo). I principali esempi:

  • bassa retribuzione;
  • cattivo rapporto con i colleghi e i manager;
  • mancanza di motivazioni;
  • scarsa visibilità del percorso di carriera;
  • poca flessibilità e autonomia concessa;
  • assenza di riconoscimenti e gratificazione.

Va comunque sottolineato che le ragioni sono spesso personali e dipendono non da un singolo, ma da una molteplicità di fattori. Per questo non esiste una soluzione valida per appagare e rendere maggiormente produttivi tutti i dipendenti. Le soluzioni di retain employees devono essere studiate in maniera sartoriale, tenendo a mente le caratteristiche specifiche della propria organizzazione e della propria forza lavoro.

propensione al cambiamento, l’effetto del Covid-19.

Il 2020 è stato un anno diverso da tutti gli altri a causa della pandemia da Covid-19. Secondo i dati emersi dall’Employer Brand Research 2021, il 92% dei lavoratori è rimasto stabilmente legato al suo impiego. 

L’indagine ha evidenziato che solo l’8% dei dipendenti italiani ha cambiato il proprio datore di lavoro nell’ultima metà del 2020, in misura maggiore tra i dipendenti nella fascia d’età tra i 25 e i 34 anni (12%) e con istruzione media (10%)

Nonostante la relativa fedeltà riscontrata nell’ultimo anno, però, l’indagine ha rivelato che almeno un 21% del campione prevede comunque di cambiare lavoro entro la prima metà di quest’anno (leggi anche: come i lavoratori trovano nuove opportunità di lavoro).

La propensione al cambiamento è influenzata anche dal tipo di mansione svolta. La percentuale di impiegati che intende passare ad un altro datore di lavoro nel primo semestre 2021 è del 17%, inferiore alla media italiana.

In generale, però, l’intenzione di cambiare datore di lavoro è considerevolmente più alta (30%) tra i lavoratori colpiti dal Covid-19. A conferma di quanto la pandemia e la gestione di quest’ultima abbia impattato sull’esperienza dei lavoratori.

l’influenza del Covid-19 nel employee retention.

Il Covid-19 ha avuto un impatto importante sul mondo del lavoro italiano e non solo perché ha sdoganato lo smart working e le modalità di lavoro da remoto. Il 49% dei dipendenti ha visto la sua situazione lavorativa cambiare a causa dell’emergenza:

  • il 4% è stato messo in cassa integrazione;
  • il 19% ha perso il lavoro;
  • il 14% ha avuto un orario di lavoro o uno stipendio ridotto;
  • il 7% ha lavorato più del normale;
  • il 43% ha continuato a lavorare normalmente.

Soprattutto, a causa degli effetti della pandemia, si è diffuso il timore di perdere il posto di lavoro nel 2021. Quest’ansia riguarda il 30% dei dipendenti. Una simile preoccupazione si traduce in una marcata propensione al cambiamento: il 27% dei dipendenti intimoriti dall’idea di perdere il lavoro prevede di cambiarlo nei prossimi mesi, così da non farsi trovare impreparato. 

All’interno di questo campione, gli attributi più importanti nella ricerca di nuove opportunità professionali sono: 

ottimizzare l’esperienza dei lavoratori per ridurre il turnover.

Per migliorare la employee retention, è innanzitutto necessario partire con l’assicurare un’esperienza positiva ai candidati che vengono in contatto con l’azienda. La prima impressione che il candidato suscita nei confronti del recruiter è di estrema importanza, allo stesso modo è fondamentale anche quella che l’azienda riesce a imprimere negli occhi della potenziale risorsa.

L’attenzione per questi dettagli, però, non va ovviamente trascurata nel momento in cui il lavoratore viene assunto. É anzi cruciale impegnarsi affinché il dipendente si senta soddisfatto e soprattutto coinvolto per tutto il corso della sua esperienza lavorativa (leggi anche: cos’è l’employee happiness e perché fa bene al tuo business).

Questo non si tradurrà  in un 100% di employee retention rate: un minimo di turnover è comunque inevitabile. Ciononostante, anche qualora alcune risorse dovessero abbandonare il tuo team, la loro esperienza resterà comunque positiva, e sarà condivisa anche all’esterno, facendo guadagnare punti all’azienda in fatto di employer branding.

migliorare le relazioni azienda/dipendente.

Come spiega Anthea Collier, managing director di Randstad Asia Pacific, il rafforzamento delle relazioni a lungo termine con i dipendenti “è una necessità per qualsiasi organizzazione che mette al proprio centro i talenti”.

Secondo Collier, infatti, costruire una solida comunità e incrementare il coinvolgimento dei dipendenti, costruendo delle relazioni solide, “è la chiave del successo”. É fondamentale, da questo punto di vista, ricordare che le relazioni sono sempre bidirezionali: le aziende devono porre attenzione alle esigenze, alle preoccupazioni e alle ambizioni dei dipendenti, evitando di pensare solamente a quello che i lavoratori possono fare per loro.

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