Settimana lavorativa corta e differenti scenari legati allo smart working: a che punto siamo?

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La settimana lavorativa corta può diventare una realtà diffusa anche in Italia o si tratta soltanto di un miraggio. La sperimentazione, attuata di recente nel Regno Unito e, nel corso degli ultimi anni, in svariati Paesi europei, prevede un impegno di soli 4 giorni. È quanto propone Fim CISl (Federazione Italiana Metalmeccanici).

Di seguito guardiamo nello specifico alla proposta avanzata, così come alle azioni messe in atto da governi esteri. In Italia vi sono alcune aziende virtuose che hanno adottato questo modello ma si tratta di “mosche bianche”. Scopriamo quali sono e in che modo questo modello sostenibile può affiancarsi o sovrapporsi alla soluzione dello smart working.

Settimana corta in Italia: la proposta

Non si vive di solo lavoro e questa concezione trova sempre più spazio tra le maglie della Gen Z. I giovani stanno trainando anche i Millennial, che da tempo lamentano gli effetti devastanti di una vita condotta tra insicurezza, precariato, bassi stipendi e tanto stress.

Lo scenario è quello di un’ampia fetta di popolazione che spinge verso la settimana lavorativa corta, così come frequenti ricorsi allo smart working, negli ambiti in cui è possibile. Roberto Benaglia, segretario generale dei metalmeccanici ritiene che l’avanzamento tecnologico e la digitalizzazione debbano portare a ripensare gli orari aziendali.

Un sistema che non andrebbe a ridurre le capacità competitive delle aziende, migliorandone i risultati attraverso un gruppo lavorativo in miglior salute. Guardando nello specifico alla settimana corta:

  • attività lavorativa suddivisa in 4 parti piene e 1/5 di riduzione d’orario
  • ipotesi d’utilizzo della riduzione di 1/5 dell’orario lavorativo per formazione o carichi di cura

Cos’è la settimana corta lavorativa

Ritrovarsi a lavorare per guadagnare uno stipendio per poter comprare un’auto e pagare la benzina necessaria per andare al lavoro. Una filosofia non più attuale, quella che richiede il quasi totale sacrificio della propria giovinezza, in vista di un futuro, in età avanzata, più sereno ed economicamente solido, in alcuni casi.

Ciò che si cerca oggi è una combinazione più salutare tra vita lavorativa e privata. In questa visione si inserisce l’idea di una settimana lavorativa composta da quattro giorni e non cinque, com’è di consueto, salvaguardando una parità di retribuzione, nella maggior parte dei casi.

Una forma organizzativa che mira a rendere più gestibile l’onere lavorativo, allontanando il rischio “burnout” di cui oggi si parla costantemente (soggetti attanagliati dallo stress accumulato nel corso degli anni). Il tutto senza intaccare la produttività, considerando il miglior clima all’interno dei vari ambienti aziendali.

Ciò è stato dimostrato da svariati studi e il più ampio al mondo, condotto presso l’Università di Cambridge, ha visto i propri risultati pubblicati a febbraio 2023. Si suggerisce una diminuzione dello stress del lavoratore, lasciando stabili i livelli di produttività e, in alcuni casi, aumentandoli. Il tutto grazie a una settimana lavorativa corta

Settimana corta in Italia ed Europa: dov’è attiva

L’Italia proverà a seguire l’esempio di svariati Paesi europei o resterà ancorata a modelli che paiono ormai superati? Guardando al Regno Unito, tra giugno e dicembre 2022 è stata avviata una sperimentazione, che ha coinvolto 61 aziende, spinte a mettere in atto una riduzione oraria a 32 ore settimanali per ogni dipendente.

Un successo tale che ben 56 ditte hanno scelto di non tornare sui propri passi, ottenendo un numero di dimissioni inferiore del 57% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Il Belgio, a parità di stipendio, ha avviato questa trasformazione dal 15 febbraio 2023, mentre nei Paesi scandinavi è già realtà da tempo, quasi ovunque.

Modello seguito anche dalla Spagna, passata a un sistema da 32 ore per 3 anni, mentre gli Emirati Arabi Uniti si sono mossi in questa direzione dall’1 gennaio 2022. In Giappone si tratta invece di interventi attuati da singole aziende, ad oggi circa l’8% del totale.

E in Italia? Anche nel nostro Paese possiamo parlare soltanto di singoli esempi. Ecco i più rilevanti:

  • Carter & Benson: 32 ore settimanali
  • Awin Italia: 32 ore settimanali
  • Intesa Sanpaolo: settimana corta su base volontaria
  • Mondelez International: 4 giorni e mezzo a settimana (parità di ore settimanali e stipendio)

Smart working e settimana lavorativa corta

Se c’è qualcosa che la pandemia di Covid-19 ci ha insegnato è che lo smart working non è nemico della produttività aziendale, tutt’altro. Molte società pretendono ancora di avere assoluto controllo sui propri dipendenti, anche dinanzi all’evidenza di un operato adeguato pur lavorando da casa.

Ciò che si ottiene evitando di recarsi in ufficio ogni giorno è minor traffico automobilistico, mezzi pubblici meno congestionati e maggior relax. È infatti possibile dormire un po’ di più, non dovendo calcolare i tempi per raggiungere l’ufficio. Una volta terminato il turno, può subito avere inizio la cura della propria vita privata e, per i genitori, risulta molto più facile conciliare i due aspetti cardine della propria quotidianità.

Molte aziende però si rifiutano di accettare questa realtà e, terminato l’obbligo dato dal Covid, sono tornate alle precedenti organizzazioni. In attesa che il governo operi alcune modifiche, a tutela dei lavoratori, è giusto sottolineare l’operato di alcune società meritevoli.

Il pensiero va a Intesa Sanpaolo, che ha accorciato la settimana lavorativa, a parità di stipendio, vantando la quasi totalità dei propri 74mila dipendenti abilitata allo smart working, con flessibilità d’orario e iniziare a lavorare tra le 7 e le 10 del mattino. Il futuro è qui, basta riconoscerlo.

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